2016, fuga dai Tribunali
Una bozza di decreto legislativo appena giunta in Commissione Finanze alla Camera rischia di far saltare completamente la riforma fallimentare.
Si tratta dell’atto del Governo n. 256, con cui recepire entro il 21 marzo 2016 la Direttiva sui mutui 2014/17/UE, ma prima di prenderla in esame, andiamo per gradi. Si era partiti un anno fa con la necessità di un riordino complessivo della disciplina fallimentare, per soddisfare la spinta di Bruxelles a una progressiva omologazione del quadro normativo. Il Governo italiano aveva seguito la Raccomandazione 2014/135/UE, affidando al lungo e meditato lavoro della ‘Commissione Rordorf’ lo schema di realizzazione. Poi improvvisamente si è percepita una scossa. Per soddisfare l’urgenza di smaltimento dei procedimenti arretrati, accumulati nelle sezioni fallimentari dei tribunali italiani, si è cominciato a parlare di un rinvio della riforma generale, in favore di una strategia per risolvere il problema dei crediti deteriorati, che in questa fase costituiscono il principale ostacolo al completamento del ‘Sistema Unico Bancario’, auspicato dalla Bce e fin qui osteggiato da Berlino.
In un ‘paper’ del Fondo Monetario Internazionale dedicato ai c.d. ‘Not Performing Loans’, si sottolineava già a settembre 2015 l’importanza di procedure ed esecuzioni efficienti, nella riduzione dei tempi di recupero degli asset posti a garanzia dei crediti deteriorati. Lo ha confermato il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, durante il 22° congresso Assiom-Forex del 30 gennaio, ricordando (pag. 11) come bastino appena due anni in meno nei tempi di recupero delle garanzie per “far diminuire considerevolmente, fino a dimezzarla, l’incidenza delle sofferenze sul complesso dei prestiti“. Il Ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, infine, deve aver cominciato a pensarci seriamente di ritorno da Bruxelles, con in tasca l’accordo su una garanzia statale per la tranche senior delle obbligazioni con cui verranno cartolarizzati i 200 miliardi di sofferenze e i 160 miliardi di crediti incagliati delle banche italiane. Perché dunque questo repentino cambio delle priorità?
Con una piccola indagine nei tribunali italiani siamo andati a vedere cosa accade nelle sezioni fallimentari, cercando di capire come si arrivi ai 7 anni di durata media di una procedura liquidatoria. Abbiamo parlato con un curatore fallimentare del tribunale di Roma, una macchina non certo tra le più efficienti d’Italia, in cui, secondo quanto riportano le statistiche del Ministero di Giustizia, in primo grado ci sono 4.630 procedimenti arretrati, pari a circa il 5% del totale nazionale. In questo foro, i 10 giudici della sezione fallimentare, nel 2014 hanno chiuso 1.123 procedimenti -in media 112 ciascuno- e se ne sono trovati iscritti 969 di nuovi.
Un dato incoraggiante a prima vista, poiché secondo l’indice di ‘clearance’ utilizzato dall’osservatorio del Cepej per valutare l’efficienza della Giustizia in Europa, siamo ben oltre i 96 punti della media europea con un ‘disposition time’ di 1.520 giorni, che indica un tempo tutto sommato accettabile per lo smaltimento degli arretrati. Ad oggi però, si stanno chiudendo i procedimenti del 2007, un numero sicuramente inferiore a quelli successivi, iscritti con lo scoppio della grande crisi, che nei prossimi anni impegneranno pesantemente le forze della giustizia italiana; il dato in calo delle nuove iscrizioni registrato nel 2014, per parte sua, indica invece ciò che, la nostra fonte al tribunale di Roma ha liquidato con la battuta che “ormai si stanno esaurendo pure le aziende”; in pratica che saremmo di fronte a una desertificazione, più che ad un’inversione di tendenza.