Traduttore: mestiere ambito ma difficoltoso

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Davvero non ho mai capito perché tanta gente voglia fare il traduttore. Pensavo di essere uno dei pochissimi ad aver desiderato fin dall’inizio di fare questo mestiere: è ben noto che è difficile e impegnativo, e si guadagna poco, perciò pensavo che non interessasse quasi a nessuno. Invece, anche tra i miei studenti, incontro tantissime persone che vogliono tradurre. Il perché per me resta un mistero. Spero che si tratti di interesse verso la cultura”. Così si esprime Andrea Stringhetti, traduttore dallo svedese e insegnante di traduzione all’Università Statale di Milano e nei corsi serali dell’editore ‘Iperborea’, quando gli chiedo perché tante persone vogliano fare il suo mestiere. E che siano tante è evidente: siano al Laboratorio Formentini per l’Editoria, in pieno centro a Milano, dove si sta svolgendo ‘Oltre i primi passi’, un incontro organizzato dall’AITI (Associazione Italiana Traduttori e Interpreti) e da STradE (Sindacato Traduttori Editoriali), in cui alcuni giovani traduttori che sono riusciti a fare breccia nel mondo dell’editoria raccontano le loro esperienze, e la sala è zeppa di persone, che seguono gli interventi pendendo dalle labbra degli oratori.

In effetti è notorio che in Italia quello del traduttore non è un mestiere facile: c’è una sovrabbondanza di offerta a fronte di un mondo editoriale povero e di un parco lettori scarso; ne consegue che è molto difficile trarre un guadagno decente da un lavoro che, d’altra parte, richiede grande dedizione e doti non comuni. Ma ciò nonostante, rimane una professione che continua a esercitare un enorme fascino.
È perché è un bel mestiere, hai a che fare coi libri e la letteratura, è un lavoro artistico, creativo, che per questo attrae tantissime persone”, mi spiega la giovane traduttrice Laura Bortoluzzi. La sua collega Francesca Bononi sottoscrive e aggiunge: “Dicono anche che sia un lavoro che lascia spazio alle persone, permette di seguire i propri orari. Ma io personalmente mi sento sommersa. Anzi, ho il problema opposto: siccome non ho orari, finisco col lavorare sempre”.

Laura e Francesca sono le due ‘traduttrici semplici’ di questo incontro, cui partecipano anche due insegnanti di traduzione (il già citato Stringhetti ed Enrico Passoni, specializzato in lingua galega) e due traduttrici passate dall’altra parte della barricata e diventate editor: Cristina Gerosa di ‘Iperborea‘, e Claudia Manzolelli di ‘Rizzoli Ragazzi’, mentre il moderatore è un traduttore affermato come Giovanni Zucca. Dalle storie che raccontano emerge che alla traduzione si può arrivare da strade molto diverse. C’è chi ha cominciato studiando lingue ed ha attirato l’attenzione di una casa editrice vincendo un concorso di traduzione, e chi ha imparato il mestiere durante uno stage editoriale, ma anche chi si è avvicinato al mestiere attraverso contatti casuali, o addirittura chi, come Stringhetti, ha iniziato traducendo documenti dallo svedese per la Camera di Commercio, e solo successivamente è passato alla traduzione letteraria.

Tutti i presenti sono stati concordi nell’affermare che un corso universitario non è sufficiente a diventare un buon traduttore: può essere una buona base, ma la formazione deve essere continua. Gli strumenti necessari al mestiere si acquisiscono attraverso tanti canali, ognuno dei quali ha la sua importanza. Corsi, atelier, workshop e affini permettono di attingere dall’esperienza di traduttori affermati, senza doversi reinventare da zero una metodologia di lavoro. È molto importante anche mantenere viva la propria conoscenza della lingua, leggendo testi di ogni tipo e non solo libri tradotti, rimanendo consci di tutto lo spettro delle possibilità espressive. Ma soprattutto, si impara con l’esperienza, confrontandosi con le difficoltà della traduzione. In ogni caso, le due editor presenti hanno tenuto a sottolineare che la formazione è utilissima a livello personale, ma nessuna casa editrice sceglierà un traduttore basandosi sul curriculum. Alla fine, ciò che veramente importa è la prova di traduzione, che viene affidata a ogni traduttore nuovo, ed è l’unico strumento che permette all’editore di capire non solo quali sono le reali capacità della persona, ma anche se sia adatta per lo specifico libro che vuole affidarle.

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