'L'Umanesimo sopravvive alla tecnica'

Pagina 1 di 2

Risulta evidente a tutti come l’avvento dell’informatica abbia causato cambiamenti epocali alla società umana negli ultimi decenni. Dal lavoro alla cultura, alla politica, alla struttura stessa dei rapporti umani, tutto viene ripensato a causa della presenza dei computer e di Internet. Tanto che c’è chi ritiene che il continuo cambiamento di fronte alla spinta della tecnologia, la ‘disruption’, sia una situazione permanente cui ci dovremo adattare. In tutto questo c’è spesso una sensazione di ineluttabilità, come se l’Umanità avesse messo in moto un meccanismo che non controlla e di cui non è possibile determinare gli esiti.

C’è allora da chiedersi se la cultura umanistica che abbiamo ereditato dai secoli passati possa svolgere un ruolo importante nel permetterci di capire e influenzare questo cambiamento. Lo abbiamo chiesto a Francesco Varanini, docente di Informatica Umanistica presso l’Università di Pisa e autore di ‘Macchine per pensare’, trattato che ha come sottotitolo ‘L’informatica come prosecuzione della filosofia con altri mezzi’, primo volume di un progettato ‘Trattato di informatica umanistica’. Il testo si propone di far conoscere a chi si occupa di informatica le radici filosofiche della propria disciplina, allo scopo di favorire la crescita di una nuova consapevolezza di cosa il computer sia e possa essere.

 

Professor Varanini, in che cosa l’Umanesimo può aiutarci a capire e ad affrontare meglio la rivoluzione informatica?

Possiamo ragionare su come l’Umanesimo ci aiuti a capire cos’è l’informatica, ma anche su come un certo uso dell’informatica, per esempio l’esistenza del web, ci aiuti a reinterpretare l’Umanesimo. Di come l’Umanesimo sopravvive alla Tecnica, e di come un certo tipo di Umanesimo abbia meno senso di prima. Possiamo prendere spunto dal discorso che faceva Umberto Eco sulle ‘legioni di imbecilli’. È vero che il web è un luogo dove si raccolgono le opinioni di molti imbecilli: vi si raccoglie, frantumata, qualunque tipo di conoscenza umana, senza filtri dati a priori. Ciò che inquieta i grandi intellettuali, specialmente quando a una certa età sono saliti in cattedra, è il fatto che non parli solo la persona che ha raggiunto la loro vetta nella capacità di conoscere del mondo, e quindi di parlare in termini umanisticamente costruttivi, ma che possano parlare tutti. Questo si trova in Eco, ma anche nel genetista Boncinelli e in tanti altri autori. Qual è il punto? È che siamo noi, noi intellettuali, noi filosofi, noi che siamo abituati a parlare mentre gli altri ascoltano, che dobbiamo abituarci a stare su un terreno dove tutti i discorsi hanno cittadinanza, e ogni produzione di conoscenza convive in uno stesso luogo. Non è più data a priori l’affermazione del valore di una fonte rispetto a un’altra. Questo non vuol dire che non esista una differenza di valore nelle fonti, ma che non c’è motivo sufficiente per incolpare qualcuno solo perché meno intelligente di un altro, o forse solo perché portatore di un’opinione ‘barbara’ (non potremo mai conoscere quale sia la sua effettiva posizione rispetto a questi due poli). Il mio è un appello a chi svolge un lavoro intellettuale: occorre saper costruire la propria autorevolezza di giorno in giorno, continuativamente, attraverso la forza della propria capacità di esprimersi in modo più significativo e costruttivo da un punto di vista umanistico. Non serve dire che scrivono anche gli imbecilli: serve dimostrare di volta in volta che quello che diciamo ha più senso, è più costruttivo. Cerco di narrare come si è definito questo nuovo scenario, e come su di esso ci si può basare per costruire un atteggiamento umanistico, per non subire il dominio della Tecnica e costruire discorsi che siano liberanti, invece che assoggettanti al controllo sociale.

Siamo veramente di fronte a un cambiamento epocale? O questa situazione e paragonabile ad altre che hanno dato la parola a un numero maggiore di persone, come per esempio l’invenzione della stampa?

Secondo me è un cambiamento enormemente più vasto. La stampa non ha cambiato nulla rispetto alla distinzione tra chi può parlare e chi deve ascoltare. Anzi, la stampa offre la possibilità della censura, che al tempo della diffusione orale della conoscenza esisteva molto meno. Solo alcuni autori possono stampare. I limiti di questo importantissimo e bellissimo cambiamento tecnologico li possiamo vedere quando si attribuisce valore a un autore solo dopo che è morto o è stato a lungo ignorato. Questo può accadere perché esistono comunque dei filtri da parte di chi controlla la stampa. Il pensiero di una persona viene diffuso in molte copie, ma sempre attraverso un controllo, un filtro. Oggi questo filtro non c’è più. È un pericolo, ma anche una situazione di innocenza, di fronte alla quale dobbiamo porci per capire come diffondere conoscenza dotata di senso. Secondo me, nel suo atteggiamento apocalittico, aveva più ragione George Steiner quando, senza sapere niente di informatica, scrisse che questo cambiamento ha per la storia dell’Uomo lo stesso peso della scoperta del fuoco. Steiner è uno di quelli che più hanno ragionato su questa nostra ‘bookishness’, questa abitudine a vivere in un mondo libresco. Si tratta ora di affacciarci su una modalità potenzialmente del tutto diversa di costruire e diffondere conoscenza.

Cultura & Società