Il popolo salverà le sue banche
Dalla partita in corso a Genova per il controllo di Banca Carige potrebbe giungere l’ultimo sprono a risolvere una volta e per tutte la questione delle sofferenze, che da troppo tempo causa lo stallo del credito italiano. Lunedì scorso, in una riunione flash di appena un’ora e mezza, il nuovo cda guidato da Giuseppe Tesauro, riunito in prima convocazione per la nomina di Guido Bastianini a nuovo amministratore delegato, ha annunciato l’attenta valutazione di un’offerta per la ristrutturazione dell’istituto genovese, avanzata qualche giorno prima dal fondo Apollo: una manovra a tenaglia da oltre 1 miliardo, che da un lato mira a rilevare i crediti in sofferenza a meno del 20% del valore iscritto a bilancio e dall’altro è pronta a garantire l’apporto di capitale fresco necessario a coprire il buco che si aprirebbe nei libri, con una cessione a meno di un quinto del prezzo. Il passo successivo, fanno sapere dal fondo americano, è l’aggregazione dell’istituto ligure ad almeno due delle quattro banche ricapitalizzate a novembre, con l’intenzione di creare il terzo polo italiano del credito. Tutto molto lineare, ma confliggente con il gruppo di imprenditori locali, guidato da Vittorio Malacalza, che insieme alla Fondazione Carige, hanno appena preso il timone dell’istituto di via Cassa di Risparmio e non ci stanno a una resa senza condizioni. Con l’apporto di capitale fresco, la banca cambierebbe padrone e «si perderebbe quel radicamento nel territorio, così prezioso per lo sviluppo dell’economia locale» alza la voce un conglomerato di imprenditori, professionisti e politici locali. Immediate le rassicurazioni di rito sulle buone intenzioni del fondo straniero. La promessa è che la sede della nuova banca non verrebbe spostata e il secondo istituto più antico d’Italia si ritroverebbe a fare da soggetto aggregante.
In attesa che si sciolga la riserva tra i soci dell’istituto genovese, a Roma proseguono le riunioni d’urgenza di un comitato speciale, formato da Governo, Bankitalia, Mef, Cdp e da alcuni dei principali attori del sistema bancario italiano e delle fondazioni. Sui giornali è filtrata tutta la drammaticità della situazione, di fronte ai principali titoli bancari nuovamente in caduta libera (-8% di media) e ad alcune partite scottanti in arrivo, come quella della Popolare di Vicenza, da ricapitalizzare entro fine mese con circa 1,75 miliardi. Una delle ipotesi a cui si ragiona a Palazzo Chigi è la creazione in tempi brevissimi -c’è chi parla della settimana prossima- di un doppio veicolo, di natura strettamente privata, in grado di provvedere all’acquisto delle sofferenze a prezzi di mercato e contestualmente all’apporto di capitale fresco per ripianare le svalutazioni. Un’operazione da decine di miliardi che farebbe tremare i polsi di qualunque soggetto privato, da condurre in pool, facendo molta attenzione a non incorrere nella fattispecie degli aiuti di Stato, sanzionata da Bruxelles. Qualcosa di simile alla risoluzione di novembre, dove i salvatori di prima istanza furono i tre principali istituti italiani, Unicredit, Banca Intesa e Ubi, che tirarono fuori circa 4 miliardi, da recuperare con la cessione delle sofferenze e la vendita delle nuove banche, che dovrebbe decidersi proprio in questi giorni. Una chiamata alle armi di tutti i grandi investitori privati italiani, dalle casse di previdenza alle fondazioni, dalle assicurazioni ai fondi di casa nostra, che coprano almeno il 51% del nuovo veicolo, puntellato dalla Cassa Depositi e Prestiti fino a un massimo del 49%, anche se si preferirebbe, secondo quanto trapela, non farla salire oltre il 30%. Una ricetta, infine, che un ex ministro del Bilancio della Repubblica Italiana, Paolo Cirino Pomicino, aveva anticipato proprio su queste colonne, all’indomani dell’uscita del suo ultimo libro, La Repubblica delle Giovani Marmotte, in cui fra le tante cose, sono ampiamente documentati i recenti paradossi di un sistema che proibisce allo Stato di salvare le proprie aziende strategiche, ma non fa nulla per evitare che i grandi fondi sovrani vengano a fare shopping tra le nostre macerie, che ha cacciato le fondazioni dalle banche, ma permette ai fondi stranieri di entrare. Uno strabismo pericoloso che rischia di mettere il paese in ginocchio e in ultima istanza «un’operazione da manicomio», come dichiarò Pomicino, dalla quale in queste ore sembra si stia facendo una clamorosa retromarcia.
Allora che cosa è successo a Palazzo Chigi, sono rinsaviti? “Forse si sono resi conto che importanti pezzi dell’economia di questo Paese, oltre 200 miliardi di assets in vent’anni, stanno finendo in mano degli stranieri, senza peraltro impedire che il debito pubblico abbia continuato a crescere e dell’errore di aver fatto guidare l’Economia negli ultimi anni soltanto a dei tecnici“.
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